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Târâ

Bihar, India - Clorite - Alta cm. 111 x 46 - XII-XIII Sec. P. Pala

Nella religiosità induista le divinità femminili assolvono il duplice ruolo di donatrici di vita e di distruttrici. Funzioni analoghe furono attribuite alle divinità buddhiste, rappresentate in forme pacifiche, come Târâ, e irate, come Shrî- matî (vedi scheda n. 16), entrambe aventi il ruolo di protettrici. Figure femminili con rango di Bodhisattva e Buddha compaiono solo nei testi tantrici del buddhismo più tardo, dove l’importanza del ruolo femminile faticò ad affermarsi, dato che le fonti più antiche negavano alla donna la possibilità di aspirare alla condizione di Buddha durante la loro stessa vita.
Nel pantheon induista Târâ, (letteralmente “Stella”) designa una delle manifestazioni di Kâlî, la terribile consorte di Shiva. All’interno di quello buddhista, dove venne inglobata, il suo nome venne interpretato, sulla base di una forzatura etimologica, nel senso di “Salvatrice” (1). Il successo della Târâ buddhista deriva dalla sua natura soteriologica e dalla sua valenza salvifica nei confronti dei devoti, che ella protegge da una serie di calamità. Essa inoltre è associata al Bodhisattva più famoso del pantheon buddhista, Padmapâni Avalokitesvara (vedi schede nn. 2, 3 e 12). Esistono molte manifestazioni di Târâ, ma le più comuni sono quella Bianca e quella Verde, particolar- mente venerata dai viaggiatori per la sua capacità di proteggere dagli otto pericoli: leoni, elefanti, incendi, serpenti, banditi, prigioni, naufragi e dèmoni. Târâ Bianca, insieme al Buddha Amitâyus (vedi scheda n.11) e alla dea Ushnîshavijayâ, costituisce una triade detta di “Lunga Vita”.


(1) Cfr. Erberto Lo Bue, Immagini divine e spazi sacri, in Erberto Lo Bue - Chiara Bellini, Arte del Ladak. tesori di arte buddhista nel Tibet indiano dall’XI al XXI secolo, Jaca Book, Milano 2011 (in stampa).

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