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Copertina di libro

Tibet - Legno - Lunga cm.73 - alta cm. 29 - XV Sec.

Il formato dei libri tibetani, rettangolare e piuttosto allungato, si rifà al modello indiano, che segue la naturale conformazione delle foglie di palma, usate come pagine. Tuttavia, seguendo l’esempio cinese, i tibetani utilizzarono come supporto per i loro testi la carta, più resistente e meno fragile delle foglie di palma. Questo aspetto mette in luce l’acume dei tibetani, che non si limitarono a fare propri gli aspetti più interessanti delle culture ad essi vicine, ma li seppero fondere adattandoli alle proprie esigene, pur conservandone le caratteristiche. I tibetani conservano i loro libri su grandi scaffalature, generalmente contenute all’interno dei templi. Le copertine lignee dei libri tibetani, come questa, presentano spesso pregevoli intagli e talora pitture elaborate, che rivelano la particolare venerazione che essi nutrono per il loro testi sacri (1). Lo spessore del legno, il cui peso è necessario per tenere uniti e pressati i fogli, facilita il ricorso frequente all’intaglio, spesso abbellito dalla doratura, come tecnica decorativa per la facciata superiore del libro. Sovente, queste copertine sono delle vere e proprie opere d’arte. Generalmente, alle decorazioni centrali della copertina, si aggiunge una cornice intagliata con motivi che rappresentano file di perle, petali di loto o intricati motivi vegetali. Questi elementi non hanno uno scopo unicamente decorativo, ma servono a circoscrivere uno spazio sacro e quindi a ricordare che l’immagine centrale della copertina, così come il contenuto stesso del libro, appartengono alla sfera divina. Talvolta, lo spazio interno può talora presentare elementi simbolici, ma gli esempi più pregevoli sono quelli che racchiudono immagini di divinità o maestri. Queste sono realizzate attraverso intagli profondi che creano un effetto ad altorilievo. Nelle copertine tibetane, le decorazioni non hanno una funzione narrativa, come invece accade talora nelle copertine nepalesi (vedi scheda n. 8), poiché le immagini di divinità ivi rappresen- tate hanno l’unico scopo di proteggere le scritture contenute nel libro e di conferire loro sacralità.
Datare le copertine lignee basandosi unicamente sullo stile con cui sono eseguiti gli intagli, qualora il libro stesso non fornisca un termine per la datazione, può risultare estremamente complicato, poiché i libri, quali ricettacoli della dottrina del Buddha, appartengono a un’area particolarmente conservativa della produzione artistica, caratterizzata dalla persistenza delle varie soluzioni stilistiche affermatesi nel tempo. Questa copertina lignea serviva per custodire una versione della Prajnâpâramitâ, la “Perfezione della Saggezza”, una raccolta di testi fra le più importanti prodotte all’interno della tradizione del Grande Veicolo (Mahâyâna), e in particolare ricopriva il primo volume di una serie, come dimostrato dalla presenza di una lettera ka, la prima del- l’alfabeto tibetano, intagliata nel margine laterale della copertina ad indicare il primo libro di una raccolta. Nel mondo himalayano e tibetano questi testi furono tradotti a più riprese, continuamente copiati e grandemente apprezzati come omaggio, anche a causa dei poteri magici loro attribuiti. La “Perfezione della Saggezza” è rappresentata anche attraverso una manifestazione divina (vedi scheda n. 8), sotto forma della dea Prajnâpâramitâ, collocata al centro della copertina qui presentata, e raffigurata con sei brac- cia, due delle quali stringono il vajra e il libro. Legata alla Famiglia di Akshobhya o a quella di Ratnasambhava, col tempo essa fu tuttavia assimilata alla dea Târâ, ed entrò a far parte della Famiglia del Bodhisattva Avalokiteshvara, presieduta dal Buddha Amitâbha (2). I tibetani la chiamano spesso con il suo epiteto di “Grande Madre” (Yum- chen-mo).
Alla destra di Prajnâpâramitâ sembra essere raffigurato Maitreya nel gesto dell’argomentazione e alla sua sinistra il Buddha storico Shâkyamuni. Le tre figure sono circondate da elaborate prabhâ realizzate in uno stile tipicamente newar molto diffuso anche in Tibet (vedi scheda n. 7). Un moltitudine di figure minori, Bodhisattva e maestri della dottrina, circonda le divinità principali. I vuoti tra le piccole figure sono riempiti con tralci e foglie, che denotano un senso di horror vacui tipico dell’arte indo-tibetana.


(1) Cfr. Franco Ricca, Copertine lignee dei libri tibetani, in Sonia Bazzeato Deotto (a cura di), Tibet. Arte e spiritualità. Un contri- buto alla storia dell’uomo, Skira, Milano 1999, pp. 138-139. (2) Erberto Lo Bue, Immagini divine e spazi sacri, in Erberto Lo Bue - Chiara Bellini, Arte del Ladak. Tesori di arte buddhista nel Tibet indiano dall’XI al XXI secolo, Jaca Book, Milano 2011 (in stampa).

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