[IT] - [EN]

«« torna indietro

Shrîmatî

Tibet - Lega di rame dorato - Alto cm. 18 - XVIII Sec.

Shrîmatî, o Rematî, in tibetano Pènden Lhamo (dPal-ldan lHa-mo, traduzione dell’epiteto sanscrito “Shrî Devî”) è la versione buddhista di Kâlî, aspetto irato della consorte di Shiva. Originariamente Shrîmatî, secondo la demonologia indiana, era un’orchessa che insidiava la vita dei bambini. Secondo il più celebre e antico trattato di pediatria indiana, il Kumâratantra, essa manifestava il suo potere malefico il settimo giorno, il settimo mese e il settimo anno della vita del bambino, provocandogli violenti stati febbrili. Dopo il suo nefasto intervento, nel bambino si manifestavano segni evidenti di malattia: fragilità, inappetenza, alopecia, voce flebile. Quando Shrîmatî venne convertita e integrata nel pantheon buddhista assunse un aspetto in parte riconducibile alla malattia (1). In ambito buddhista Shrîmatî assolve il ruolo di protettrice della dottrina e sovente viene raffigurata insieme ad altri protettori, quali ad esempio Mahâkâla (vedi scheda n.5). Oltre ad essere patrona del Tibet, è anche la protettrice personale del Dalai Lama.
In questa immagine si possono osservare i tratti iconografici peculiari, di origine indiana, descritti nelle fonti più antiche, come i seni penduli, il corpo emaciato e il corredo macabro che ella porta con sé. L’oro che ricopre l’incarnato della dea sostituisce, come consentito dalla tradizione, il consueto colore ceruleo, che evoca la cenere prodotta dalla cremazione di corpi umani con la quale ella, come gli yogin tantrici, ama cospargersi. Fra i capelli fiammeggianti è visibile la falce di una luna, emblema tipicamente shivaita, sormontata da tre penne caudali di pavone, mentre un disco solare è raffigurato al di sopra dell’ombelico. La capigliatura è incorniciata da un diadema costituito da teschi umani che le lascia libera la fronte, sulla quale risalta un terzo occhio verticale tra le sopracciglia fiammeggianti. Fra le labbra dischiuse della dea è visibile il corpo di un cadavere straziato dai suoi canini. Shrîmatî indossa una veste costituita da una pelle di tigre, la cui coda è visibile sul suo ginocchio sinistro. I suoi principali attributi sono il kapâla, la calotta cranica umana usata come ciotola e contenente il sangue dei nemici della dottrina simbolicamente uccisi, e la mazza, qui andata per- duta e di cui è visibile il foro dove questa era inserita. A questi attributi si aggiungono un abaco ligneo per il conteggio delle trasgressioni, un gomitolo magico per irretire e bloccare i demoni, dadi impiegati per la diagnosi e la divinazione, e un sacchetto contenente pestilenze che in un contesto buddhista allude alla sua capacità di guarire gli esseri umani dalle sofferenze. Shrîmatî cavalca una mula caratterizzata da un occhio dipinto sulla natica sinistra, seduta all’amazzone, su una sella costituita dalla pelle scoiata di un essere umano. L’animale, che reca al collo una ghirlanda di teste recise di fresco, analoga a quella indossata dalla dea, è raffigurato nell’atto di incedere su un lago di sangue circondato da montagne di ferro, dove è possibile scorgere un corpo umano affiorare tra i flutti ribollenti.


1 Giuseppe Tucci, Indo-Tibetica, III/2, Tsaparang, Delhi 1989, p. 97.

 For a similar bronze figure :

The Sacred Art of Tibet Robert A.F. Thurman- p.303 no.116 Expanded Edition

 

 

Capriaquar © 2011 - Vat N. IT 01718530544



registrati


recupera password