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Makara

Tibet - Rame dorato e pietre semipreziose - Alto cm. 23 x 23 - XVII Sec.

Tra gli esseri mitici che popolano le leggende del sub- continente indiano, i Makara sono certamente alcuni fra i più noti e rappresentati artisticamente. Questi mostri marini dall’aspetto ibrido riassumono nella loro iconografia caratteristiche peculiari di vari animali, quali, ad esempio, la proboscide dell’elefante, la bocca e il corpo del coccodrillo e la coda del serpente. Il Makara, veicolo di Varuna, dio vedico dell’acqua, e di Ganga, la dea fluviale che impersona il fiume omonimo, è inoltre un emblema di Kâmadeva, dio vedico dell’amore e del desiderio (1). Le caratteristiche rappresentative di questo mostro marino, potenza e tenacia, giustificano la presenza di immagini di Makara sulle armi impugnate dalle divinità, appartenenti soprattutto ad un ambito Vajrayana. Queste armi, le cui lame o punte fuoriescono dalle fauci spalancate di un Makara, includono l’ascia, l’uncino, il coltello ricurvo per la scoiatura, e il vajra.
Questi mostri marini sono collocati anche sui templi, agli angoli dei tetti o sulle grondaie, con una funzione protettiva. Coppie di Makara sono rappresentati insieme ai Nâga (vedi scheda n. 19) e a Garuda sui portali di templi o intorno alle prabhâ di divinità, come in questo caso. Il Makara qui presentato poggia le sue zampe su un elemento tipico degli schienali dei troni delle divinità buddhiste, sopra il quale risaltano alcuni fiori e la sua lunga coda attorcigliata, la cui elaborata voluta fu eseguita con particolare cura. A giudicare dalla finezza della lavorazione di questo elemento e dalla sua grandezza, è chiaro che questo Makara impreziosiva lo schienale di un bellissimo trono sul quale doveva essere collocata una statua molto preziosa. Alcuni particolari sono dipinti con pigmenti colorati, e le inclusioni di pietre dure, quali cristallo di rocca, turchese e corallo, molto amate dai tibetani, rendono questo pezzo ancora più pregevole.

(1) Robert Beer, The Handbook of Tibetan Buddhist Symbol, Serindia, Chicago - London 2003, p. 77

ALC (Free Circulation) 

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