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Ekâdashamukha LokeshvaraTibet o Mongolia - Bronzo dorato - Alta cm. 33 - XVII-XVIII Sec.l Bodhisattva Avalokiteshvara, o Lokeshvara, spiritualmente connesso alla Famiglia di Amitâbha, in India divenne particolarmente popolare nella tradizione buddhista del Grande Veicolo (Mahâyâna), e in Tibet diventò il più venerato fra tutti Bodhisattva. Come indica il suo nome, egli è “Il Signore che guarda in basso” in maniera compassionevole verso gli esseri da salvare. Sontsen Gampò (Srong-brtsan-sgam-po), il sovrano tibetano che nel VII secolo unificò il Tibet rendendolo uno dei regni più potenti dell’Asia centrale, era ritenuto una manifestazione terrena di questo importante Bodhisattva, che aveva adottato come propria divinità tutelare. Mille anni dopo, con l’instaurazione del governo teocratico retto dai Dalai Lama, questa antica credenza venne recuperata e anche il Dalai Lama venne considerato una epifania di Avalokiteshvara. Alla sua manifestazione più essenziale, quella di Padmapâni (vedi schede 2 e 3), se ne aggiunsero altre più complesse, come quella trionfale chiamata Ekâdashamukha (“a undici teste”) Lokeshvara qui riprodotta, la cui prima immagine documentata risale al V-VI secolo ed è visibile in un rilievo nella grotta n. 41 a Kânheri, in India (1). Le sue dieci teste di Bodhisattva, sormontate da quella del Buddha Amitâbha, rappresentano i dieci livelli di avanzamento del cammino del Bodhisattva culminanti nel raggiungimento della Buddhità (2). L’incremento di manifestazioni diverse di una stessa divinità, spesso caratterizzate da una moltiplicazione di braccia e gambe, che avevano lo scopo di dimostrare la loro onnipotenza, è riconducibile a sviluppi relativamente tardi nella dottrina e nel pantheon buddhista in India (3). Gli attributi essenziali di Ekâdashamukha Loke- shvara, qui andati perduti, sono il rosario, il fiore di loto, emblema della sua Famiglia Cosmica di appartenenza, e l’acquamanile, la cui assenza è indicata da un forellino sul palmo della mano sinistra, in basso, rivolta verso l’osservatore. Il rosario ricollega Avalokiteshvara alle sue remote origini induiste, in quanto attributo privilegiato di Shiva nella sua veste di Yogeshvara (“Signore dello Yoga”), sul cui nome, così come su quello di Lokeshvara (“Signore del Mondo”) (4), altro epiteto di Shiva, i seguaci del buddhismo modellarono quello di Avalokiteshvara (5). Lo stile che caratterizza alcuni particolari di questa immagine, quali gli occhi, molto allungati e con le estremità esterne orientate verso l’alto, gli ampi archi sopraccigliari che seguono lo stesso andamento degli occhi, la lunga veste costituita da un doppio velo, e la base a forma di ninfea, è riconducibile all’arte prodotta in Cina nel XVIII secolo durante la dinastia Qing (6), anche da artisti mongoli (7), sebbene non vi siano elementi stilistici specificatamente mongoli in questa statua (8). (1) Erberto Lo Bue, La ruota del Dharma di Alci, in Erberto Lo Bue - Chiara Bellini, Arte del Ladak. Tesori di arte buddhista nel Tibet indiano dall’XI al XXI secolo, Jaca Book, Milano 2011 (in stampa); Susan L. Huntington - John C. Huntington, The Art of Ancient India, Weatherhill, Boston - London 2001, p. 265, fig. 12.27. ALC (Free Circulation) |